WALTER TRECCHI

Walter Trecchi, o dell’architettura verticale profana. Protesa al cielo e radicata sulla terra.

Nell’immaginario di Walter Trecchi luoghi metropolitani e sistemi naturali danno vita a un crossover di architettura e natura. Sono luoghi-che-non-ci-sono-ma-che-potrebbero-esserci: ora non esistono più spazi in orizzontale, tutto si sviluppa in verticale, anche il verde. Vedi Milano.

Noi, ora, nei grandi spazi cosmopoliti delle città all’avanguardia, ci guardiamo attorno e assistiamo alla trasfigurazione delle industriose metropoli verso un nuovo dialogo con gli elementi naturali. Certo, sono lontani i tempi dell’art nouveau , eppure le “nostre” città sono cresciute rispetto a quel passato, di cui noi conserviamo le fotografie vere e mentali: assistiamo al loro sviluppo come quando registriamo i cambiamenti di un organismo vivente nel corso del tempo .

Il percorso pittorico di Walter Trecchi inizia dagli spazi industriali dismessi, lui ci entrava fisicamente per viverli, ascoltando i rumori della città là fuori e catturando la luce che dalle finestre filtrava in combutta con l’oscurità degli interni. Da lì il passaggio obbligato e naturale ai cantieri (vedi Orizzonti temporanei VI, sembra un “organismo” in sala operatoria) e quindi al divenire della città/organismo e al suo rapporto con la natura (esempio: Antropico naturale VI).

Un percorso sequenziale per  visioni urbane, come consequenziale è il rapporto architettura/natura iniziato con la serie degli Equilibri fra spazi vuoti e spazi pieni, elementi urbani e naturali, colore e non colore, vedi Equilibrio III, divisa a metà dal rosso vermiglio che fa da contraltare alla sezione laterale opposta dominata da toni quasi marmorei (lo ritroviamo in Equilibrio XI, dove la traccia della verticalità è data dalla natura e non più dall’architettura).

Le città di Trecchi, Milano, Londra, Amsterdam, in realtà non hanno importanza in quanto tali ma in quanto città e Walter Trecchi ne coglie l’“urbanità” come Morandi, dipingendo per tutta la vita la stessa bottiglia, ne coglieva la “bottiglità”. Non importa dove siamo, non importa quali siano queste città.

Ma in questo immaginario la città che sale si fonde in afflato armonioso con il corpo silvano. Il risultato è dato da concrezioni arboree che, facendo riandare il pensiero agli avviluppi nodosi delle sperimentazioni art nouveau, si edificano come per partenogenesi lungo un’architettura verticale, le vette della città, le torri profane che grattano il cielo.

(La versione lunga 😉 è qui)

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